Livia Drusilla e il concetto di emancipazione femminile nella Roma imperiale
di Walter Amirante
(Affresco Villa dei misteri, Pompei)
Quid melius Roma?
(Ouidius, Epistulae ex Ponto, 1.3.1)
Felix qui quod amat defendere fortiter audet.
(Ouidius, Amores, 2.5.1)
Soprattutto ad opera della religione venne propugnata una idea di donna folle e agghiacciante. A seconda delle epoche, e dei casi, si ebbero modelli ripugnanti che ebbero soltanto uno scopo: quello di sottomettere gli individui al proprio pregiudizio, alla propria ignoranza.
I modelli furono sostanzialmente i seguenti: 1. la donna come “aiuto” dell'uomo, come suo sottoprodotto (nato dalla sua costola); 2. la donna come essere “astuto” principale causa del male sulla terra; 3. la donna come rinnegatrice del mito in virtù della propria volontà di conoscere e di auto-determinarsi (e perciò essere immondo); 4. la donna oggetto fra oggetti alla mercé del patriarcato (un essere di cui si poteva abusare a piacimento allo scopo di onorare uomini e dio); 5. il modello di donna-schiava che deve trovare la sua realizzazione nell'obbedienza al dio e nel farsi sua serva (e gioire per questo); 6. di donna per l'appunto obbediente, a servizio della famiglia, dei figli, del marito (e dipendere da esso), e che deve tacere; 7. di donna adultera o posseduta da spiriti malvagi, etc. etc.
La donna doveva, sì, essere negata, ma secondo un metodo ben preciso, sistematico: si pretese da lei la rieducazione. Ora, la perversione dell'azione rieducatrice non si limitò però solo all'imposizione violenta di questo progetto iniquo, ma addirittura si volle pianificare il plagio della sua intima psicologia – la quale doveva essere spezzata; in altre parole: lei doveva sinceramente volere quei modelli. Ci furono, certo, pochissime eccezioni, nelle religioni stesse, che comunque difficilmente potrebbero essere prese ad esempio in virtù della loro insignificanza: dopotutto, appartengono nel migliore dei casi alla categoria delle “serve-istruite” che non hanno avuto alcun ruolo determinante per la causa dell'emancipazione femminile.
“Livia si trovò nelle condizioni – morta Giulia, figlia di Augusto – di esercitare un potere assoluto. L'imperatore, ormai anziano, non riuscì piu' a contrastare la sua volontà.”
Ma la situazione cambia, in parte radicalmente, se guardiamo ad altre società. Quella Romana era contraddittoria su questo punto e non sempre la forma coincideva con la prassi. Era una società patriarcale e le donne non godevano di alcun diritto politico formale; tuttavia godevano di notevolissimi diritti religiosi, la qual cosa rappresenta per noi una novità dal momento che, storicamente, il cristianesimo (in tutte le sue formequasi tutte le sue forme che sono state determinanti) ha soppresso qualunque diritto politico e religioso della donna. Se si vuole un modello antico dove forma e sostanza coincidono in rapporto alla condizione femminile, bisogna guardare alla società Etrusca. Ad ogni modo, non si può negare che all'interno della società Romana ci furono delle donne che cercarono di cambiare il corso degli eventi e che posero le basi dirette o indirette per quella che diventerà, nel XVIII° secolo, l'inizio della lotta per l'emancipazione femminile e della parità dei generi.
In modo particolare è Livia Drusilla il modello dei modelli. Una donna forte, intelligente, emancipata e capace di determinare le sorti dell'Impero romano; di diventare cioè “Dea ex machina” e “Imperatrix”. Non si è ancora detto abbastanza su di lei. Il primo, nel dopoguerra, a dedicarle un lavoro corposo fu, nel lontano 1979, lo storico Vito Sirago. Accanto alle sue riflessioni - parlerà infatti di una "nuova condizione femminile" partendo proprio dalla figura dell'imperatrice -, Sirago riuscì a delineare l'immagine di un personaggio storico non secondo a nessuno. Attingeremo perciò a piene mani dal lavoro di questo grande studioso, e lo faremo anche come sorta di omaggio ad memoriam.
Livia Drusilla aveva un'obiettivo, cioè “la ferma intenzione di riscattare la sua condizione femminile” pretendendo “il riconoscimento della sua presenza oltre che morale, anche politica, strappandolo momento per momento ad Augusto, ma soprattutto lottando contro le donne di casa, prima Ottavia, sorella del marito, poi Giulia, sua figlia, nata dalla prima moglie, Scribonia.”* Questo è un punto cruciale, un aut aut, che ci permette di penetrare nella sua psicologia e comprenderne il vissuto. Dei suoi primissimi anni non sappiamo pressoché nulla. Livia nacque nel 58 p.e.v. in una società in cui le donne del ceto romano “alto” erano soggette a matrimoni d'interesse politico, e vivevano in funzione di questo. Questi matrimoni combinati - dirò di sfuggita senza quindi entrare nel dettaglio - non avevano nente a che vedere con i matrimoni combinati d'uso cristiano o che ritroviamo nella pratica indiana.
Già quindicenne, Livia era “felicemente” sposata con suo cugino Tiberio Claudio Nerone. Nerone era anti-cesariano e in perenne conflitto col triumvirato, e quindi con Ottaviano (che in seguito diventerà Augusto). Dopo rocambolesche vicissitudini i rapporti tra Nerone e Ottaviano si stabilizzarono. Alla cerimonia di pacificazione era presente anche Livia, ormai ventenne. Ottaviano la vide, e se ne innamorò al primo istante. Il sentimento fu reciproco e lui la chiese in moglie. Pochi giorni dopo venne celebrato il rito civile e Livia venne accompagnata dallo stesso marito Nerone; mentre il rito religioso, presieduto dal pontifex, verrà celebrato mesi dopo.
Una versione, questa, un po' troppo romanzata che non tiene conto della cruda realtà. Nerone e Livia passarono momenti infernali, in virtù della loro ostilità al triumvirato e “non è concepibile che una donna così provata, così umiliata da doversi presentare come supplice al suo nemico fosse veramente disposta al coup de foudre, se non fosse stata indotta con opportuni ragionamenti ad accettare la parte dell’eventuale innamorata. Lo stesso consenso, subito e pronto, del marito è indizio che il gesto era stato studiato attentamente.”
Senonché Livia entrò a far parte della gloriosa stirpe della gens Iulia. Il suo potere personale derivò anche da una condizione di partenza: la chiarezza dei patti. Poiché “fu sua cura di ricordare sempre al marito i patti stipulati: fu sua cura imporgli il rispetto di questi patti, cioè l’effettiva applicazione della linea conciliativa, la cancellazione d’ogni ricordo ed effetto dell’era delle proscrizioni.” La crudeltà iniziale di Ottaviano Augusto, venne praticamente annullata dall'influenza decisiva di Livia. Sarà la clemenza a caratterizzare il dominio di Augusto, il quale ricorrerà alla violenza solo in casi estremi e necessari.
Si prefigurò dunque un ruolo non servile ma politico di Livia, dalla cui volontà dipendeva la pax romana e quindi le sorti dell'imperium. Diventerà celebre il suo discorso, ripreso poi anche da Seneca, per risparmiare la vita del traditore Cinna. I frutti della sua politica “rafforzeranno la sua posizione non solo morale nell’opinione pubblica, ma anche effettiva per il pubblico riconoscimento del senato.”
Tre anni dopo il matrimonio le verrà assegnata la sacrosanctias che la farà elevare al di sopra delle matrone romane - e sarà equiparata alle Vestali. Per un'istante anche le sorti di Cleopatra dipesero da Livia. La regina d'Egitto infatti progettò di recarsi a Roma “fiduciosa nel suo intervento risolutivo”; ma poi gli eventi presero una brutta piega e si uccise.
Alche, per via di trame che potremmo definire “hollywoodiane”, Livia si trovò nelle condizioni – morta Giulia, figlia di Augusto – di esercitare un potere assoluto. L'imperatore, ormai anziano, non riuscì più a contrastare la sua volontà. Livia accettava le regole del gioco, le regole cioè di quella società grandiosa e imperfettissima; ma non fu mai una accettazione passiva, servile; al contrario lei ebbe la capacità di sfruttare e di piegare quelle regole. Alle donne veniva, certo, preclusa “formalmente” ogni possibilità di carriera, ma allo stesso tempo tutto ciò si annullava sul piano della religione pagana, dove una donna poteva ambire alle cariche. Livia cercò dunque "di afferrare tutto quello che potevano offrire i molteplici culti religiosi.”
Nel frattempo si radicalizzò – forse proprio per volontà della stessa Livia - il culto della dea Cibele “poiché tale culto rispondeva alla nuova linea politica di accentramento dei poteri, all’unificazione degli altri culti sovrapponendosi come superiore in quanto Cibele è mater magna deum, madre di tutti gli dei (...)”. Molte furono infatti le statue della dea Cibele con il volto di Livia. Dunque sul piano religioso lei assumerà la stessa importanza di Augusto. Non solo. Impossibilitata a seguire le sedute del Senato, riuscirà comunque ad intervenire consigliando il marito, prefigurazione volteriana del sovrano guidato dal filosofo. E gli abitanti “di Roma, d’Italia e delle province sentono incombere sulla loro vita la presenza di Livia (...)”.
L'indipendenza però non fu soltanto caratteriale, religiosa, indirettamente politica, ma soprattutto economica; e questo è un aspetto fondamentale che può dire tanto alla nostra epoca. Livia infatti “amministra i suoi beni, tenuti separati da quelli del marito: anzi, nell’ultimo ventennio della vita d’Augusto ella possiede il ius trium liberorum (pur avendo solo due figli!) che le permette piena disponibilità non solo amministrativa, ma soprattutto ereditaria.”
Ma il vero punto di svolta, e questo va detto, fu la morte di Augusto, attraverso cui lui “consacra i poteri effettivi — religiosi politici finanziari — di Livia.” Lei, per testamento, entrerà a far parte definitivamente della gens Iulia e da questo momento si chiamerà Augusta. Vivrà fino a 86 anni. Però i rapporti col figlio Tiberio – che probabilmente viveva un senso d'inferiorità nei confronti della madre - peggiorarono, motivo per cui alla morte di Livia proibì la sua deificazione, con la scusa “che tale era la volontà della defunta”.
Tiberio impedì anche che Livia diventasse Mater Patriae. Sarà Claudio, nel 41, a riparare il torto deificando Livia “in modo da equipararla ad Augusto anche nel culto divino dopo la morte. Anzi, a partire da quell’epoca, culto religioso e propaganda politica, rievocando le due figure di Augusto e di Livia, insisteranno sul concetto della piena parità di marito e moglie come fondatori della forma imperiale.”
Livia Drusilla non fu una eccezione. Dopo di lei altre donne la prenderanno ad esempio. Negli ultimi anni di Augusto si ridimensionerà di molto anche la pratica del matrimonio d'interessi e “l’imperatore stesso divorzia e si sceglie la moglie che crede; ma anche le donne dell’alta società si scelgono i mariti che credono (vedere Agrippina minor). Forse l’esempio dell’Augusta, forse le diverse situazioni sociali non concepiscono più le combinazioni matrimoniali.”
La società romana, nel suo complesso, e pur con tutte le dovute migliorie che devonsi apportare, può essere per noi ancora un modello valido e la figura di Livia ne è la prova. Ma se è vero – ed è vero – che per Mahler la tradizione non è adorazione delle ceneri, ma custodia del fuoco; allora la figura di Livia Drusilla rappresenta un faro nella tempesta, un'idea vera e concreta di donna che è costantemente animata dal desiderio profondo di realizzare se stessa in piena autonomia – relazionale sociale politica economica -; una donna spinta dalla volontà di riscatto, che vuole il riconoscimento della propria persona e delle proprie capacità - intelligenza e caparbia femminile possono infatti guidare lo Stato e garantire pace e prosperità.
Una donna infine che persegue con ostinazione la parità di genere - obiettivo non meno cruciale - senza mai abbassare la guardia; un diritto, questo, che non può essere una mera "concessione", ma va strappato piegando la società patriarcale attraverso una insurrezione anzi tutto interiore, poi politica, quindi sociale, culturale - quest'idea di donna, completa e radicale, è ed è sempre stato il vero spettro che s'aggira per il mondo.
Bibliografia
Vito A. Sirago, Livia Drusilla, Una nuova condizione femminile, estratto da Invigilata Lucernis, Rivista dell’Istituto di Latino Università di Bari - 1 1979
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