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Walter Amirante

La melodia italiana

Aggiornamento: 1 mag 2024

Soliloquio sull'essenza della musica italiana



« La musica italiana innanzi a tutto. »

Ildebrando Pizzetti

a Giulio Ricordi, 1902



Non basta essere anagraficamente italiani per entrare in automatico nella categoria del l'operismo/sinfonismo/pianismo italiano. Ovviamente il concetto di « categoria » qui non va inteso in un senso restrittivo o moraleggiante, teso cioè a creare separazioni o altro, ma semplicemente come « luogo » in cui alberga uno « spirito ». Anagrafe e spirito vanno di pari passo, ma tuttavia è certamente possibile che anche uno straniero possa di fatto appartenere al nostro campo, qualora abbracci appunto ciò che ci caratterizza a livello musicale. L’essenza della musica italiana, sia strumentale che vocale, possiamo e dobbiamo racchiuderla nella massima pucciniana: « Fare contro tutto e contro tutti opera di melodia ». E qui voglio subito chiarire una cosa: sebbene noi si è « tonalisti » di natura, questo concetto pratico noi possiamo comunque applicarlo anche qualora si avesse un approccio « politonale » o « atonale » ; in questo caso, l’accorgimento, sarà quello di creare uno sfondo dissonante dove però l’elemento melodico emerga in modo assolutamente chiaro e orecchiabile. Questa è una cosa che è possibile fare, sebbene non sia facile. Ad ogni modo, dire melodia potrebbe voler dire tutto e niente. La m. italiana ha infatti delle caratteristiche ben precise, delineatesi attraverso i secoli, e che prevalgono a seconda del genere musicale.


1. La nostra melodia è virile; e qui possiamo prendere la produzione verdiana, e io direi l’Aida come massimo punto di riferimento. E anche là dove (vedi l’Otello, « Già nella notte densa ») gli accenti si fanno più aurei, ebbene questo aspetto di « virilità », pur limato, rimane ed è pregnante.




2. La nostra melodia è passionale; e qui intendiamo una passione che non è distruttiva (alla Tristano), ma è disperata e sognatrice, animata, sì, da una « speranza vana » che porterà poi alla morte (la distruzione non è quindi in itinere, ma è un risultato finale). Il modello a cui possiamo ricondurre questa identità è la Manon di Puccini. A differenza dei francesi o di altri, noi riusciamo in questo a toccare il fondo della verità espressiva e addirittura a raggiungere e a mantenere tale pathos anche mentre si sta morendo, come in Bohème : « Sono andati/ fingevo di dormire… » , « …sei il mio amor e tutta la mia vita! », dove viene da piangere soltanto a leggere questi versi e a canticchiarli mentalmente.




3. La nostra melodia è eterea; è cioè « platonica », « paradisiaca », pericolosamente alienante, e potremmo quindi dire « illusoria ». Qui è il caso di Bellini ovviamente, ma anche, in parte, di Chopin che, sebbene polacco, in metà della sua produzione noi ritroviamo lo spirito belliniano e quindi italiano. Per Chopin infatti il pianoforte doveva « cantare » ed è per questo che invitava i suoi allievi ad andare all’opera ad ascoltare i cantanti italiani (quest'aspetto non è solo tecnico-interpretativo, ma anche compositivo).




Ora è evidente che si potrebbe obiettare che queste siano caratteristiche riscontrabili anche negli autori stranieri. Ma ciò non è vero o lo è solo in parte. Ci sono sempre delle piccole ma cruciali differenze. Il « paradisiaco » nella musica francese ha in più anche uno sfondo di « leggerezza » derivante dalla loro produzione settecentesca (Couperin, Rameau, etc.). I corali bachiani, nella loro magnificenza, nascondono però un certo grado di protestante austerità. La melodia infinita del Wagner maturo è, sì, virile, ma distruttiva o arcaicamente barbara. Il « paradisiaco » in Chopin spesso sfocia nella danza polacca (vedi la Ballata n°1, dove ad un certo punto, dal sogno/malinconia/disperazione, si passa al balletto da taverna, con un contrasto discutibile – so bene che nessuno osa mai criticare la sua produzione). La melodia in Bruckner oltre ad essere ornata dalla potenza dei colori orchestrali, è ben incatenata all’interno di una struttura rigida. Sarà banale dirlo, ma ogni nazione o luogo geografico ha sviluppato caratteristiche melodiche proprie e specifiche. Spesso, è ovvio, vi sono delle affinità e questo è normale, perché i compositori hanno sempre cercato stimoli esterni. Ma gli elementi esterni vanno poi filtrati, metabolizzati e sottomessi all’estetica a cui si appartiene.




In una conclusione forse frettolosa, noi diremo che virilità, passione, etereità rappresentano l’essenza della musica italiana e quindi del nostro « spirito »; e vanno intese come sopra. Ognuno poi cercherà la propria strada. Un compositore dovrà scavare dentro di sé, guardarsi dentro, e capire qual sia la propria natura. Nulla ovviamente esclude che si possano utilizzare tutte e tre le identità melodiche; tuttavia, a questo proposito, va detto che la questione non è soltanto « sentimentale » o legata a un dato « sentire », ma anche « stilistica ». Il compositore dovrà inoltre mantenere l'unità stilistica di una m. anche attraverso l'armonia sua propria. Un altro esempio concreto per i profani: se all'interno di una sinfonia « atonale » ho bisogno di un passaggio dal carattere etereo, e inizio una melodia « tonale » utilizzando il I e il V grado, magari con un arpeggio d'arpa... è evidente che si crea un problema di stile, di organicità (a meno che questo non sia giutificato dall'azione drammatica, come nel caso di un'opera). Identità melodica e stile sono due facce della stessa medaglia. E l'armonia è il collante che tiene assieme il tutto garantendo organicità.

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